lunedì 26 settembre 2016

Telefono senza fili di Ilan Brenman e Renato Moriconi

Questo è un silent book, cioè un libro illustrato senza parole,  realizzato da Renato Moriconi, l'illustratore, e Ilan Brenman, che e è colui che ha pensato e ha fatto mettere su carta l'idea che sta alla base di quest'opera. Inoltre questo volume, pubblicato originariamente in Brasile nel 2010, è il primo di una trilogia il cui secondo capitolo è basato sugli sbadigli (intitolato infatti "Bocejo" del 2012), e il terzo sulle somiglianze fisiche tra uomini e animali ("Caras animalescas" del 2013).

Sopra: La copertina di "Telefono senza fili", il silent book di grande formato di Brenman e Moriconi, mostra uno dei personaggi all'interno dell'opera ritratto nel momento in cui sta sussurrando la parola/frase misteriosa del gioco.

L'idea alla base dell'opera ce la spiega il titolo, con tre semplici parole: telefono senza fili, tre parole che suoneranno familiari sicuramente alla maggior parte di noi perché chi è che non ha mai fatto, o anche solo sentito parlare, al gioco del Telefono senza fili?. Quel gioco in cui qualcuno sussurra una parola, o una frase, all'orecchio di un'altra, e questa, a sua volta, la dice sottovoce a un'altra accanto a lei finché l'ultima a cui viene sussurrata la parola la deve riferire alla prima che ha cominciato il gioco per scoprire se, alla fine, la parola è ancora quella corretta dell'inizio o se è stata storpiata.
A Ilan l'idea per questo libro, come spiega lui stesso in una pagina posta alla fine di quest'ultimo, gli è venuta proprio osservando, durante una serata al ristorante, le espressioni di adulti e bambini mentre partecipavano a questo gioco.
Un gioco sonoro, quindi basato sulle parole, eppure quest'opera è un silent book, un libro muto, per paradosso, ma probabilmente anche in questo risiede il suo fascino.
Il libro è strutturato seguendo uno schema molto interessante: la prima immagine che compare al "lettore", nella facciata a sinistra, è quella di un giullare di profilo, girato verso destra con la bocca lievemente aperta, come se stesse dicendo qualcosa; nella pagina accanto, a destra, vi è un re con una mano aperta dietro il suo orecchio destro, teso come se fosse attento ad ascoltare qualcosa: ciò che gli sta sussurrando il giullare della pagina precedente appunto. Girata la pagina, ora il re compare nella facciata a sinistra, girato di profilo, nella stessa posizione assunta precedentemente dal giullare, diventando il sussurratore, mentre ora, sulla pagina a destra, vi è un cavaliere in armatura pronto ad ascoltare ciò che gli viene detto.
Attraverso le posture e i gesti dei personaggi l'artista è quindi riuscito a dare all'osservatore l'idea che questi stiano effettivamente giocando al gioco del telefono senza fili, facendo passare di bocca in bocca una parola, o una frase.
Lo schema adottato (personaggio a sinistra di profilo che sussurra la parola al personaggio posto in posizione frontale nella pagina a destra che la ascolta per poi ricomparire, nella pagina successiva a sinistra, girato di profilo a sussurrarla a un altro personaggio…)  rimarrà il medesimo fino alla fine, in cui vi sarà una sorpresa ...

Sopra: La prima immagine del libro, quella che dà inizio al gioco. Non è un caso il fatto che sia da un giullare che tutto ha inizio, infatti, come spiega lo stesso illustratore, quando Brenman lo ha chiamato per proporgli questo albo basato sull'idea del gioco del telefono senza fili, Moriconi ha deciso di ispirarsi ai ritratti del duca e della duchessa di Urbino di Piero della Francesca e ciò lo ha riportato al Medio Evo, quando erano appunto i giullari a dare inizio agli spettacoli. 

Naturalmente una parte moto importante in quest'opera la giocano le illustrazioni, realizzate da Moriconi, le quali presentano diverse caratteristiche interessanti.
Precedentemente ho continuato a parlarvi dei personaggi che popolano questo libro, tuttavia questi non sono stati scelti così casualmente come si potrebbe pensare inizialmente, dopo un po' l'osservatore comincerà a capire che ogni nuovo giocatore che entra in scena ogni volta che giriamo pagina è in qualche modo legato a quello precedente da qualcosa che li accomuna: inizialmente troviamo infatti un giullare e un re, poi un re e un cavaliere, poi un cavaliere e un palombaro, dopo ancora un palombaro e un pirata ecc…. Queste accoppiate non sono mai scontate ed ovvie, anche se inizialmente il legame può essere facile da individuare, tanto che in alcuni casi capire ciò che accomuna due personaggi può non essere proprio facilissimo. Inoltre, come ha scritto la Anna Castagnoli mentre parlava di quest'opera in un post del suo Blog  qui, sembrerebbe che queste siano tutte coppie dove è presente una tensione nella relazione, diversa ogni volta: la differenza di ceto sociale (tra il giullare il re), possibili problemi di comprensione e comunicazione (tra il re e il cavaliere con l'armatura e tra quest'ultimo e il palombaro), differenza di etnia e di cultura (tra l'aborigeno e il turista) e così via…. Tuttavia le differenze tra i vari personaggi, come osservato sempre dalla Anna Castagnoli, sembrerebbero sempre mitigate da alcuni elementi che allo stesso tempo li amalgamano e li accomunano: i decori della corona del re e dell'armatura del cavaliere, il richiamo di alcuni colori (il rosso del guanto del palombaro e il giallo della sua tuta con il rosso della giacca del pirata e del giallo dell'uncino e della bandana di quest'ultimo) ecc...

  
Sopra: Le illustrazioni di Brenman sono estremamente realistiche e dettagliate, tanto da permettere all'osservatore di notare la presenza di elementi ricorrenti tra le coppie di ritratti. In questo caso, ad esempio, le decorazioni sulla corona del sovrano (a sinistra) vengono riprese anche sull'armatura del cavaliere (a destra). 

Anche le pose e il modo in cui sono stati ritratti questi personaggi sono molto interessanti, infatti l'illustratore, come spiega lui stesso, ha preso spunto dai ritratti del duca e della duchessa di Urbino di Piero della Francesca, i quali sembrano proprio sussurrarsi qualcosa. E' inoltre interessante notare come queste figure emergono da uno sfondo nero, una caratteristica che ritroviamo anche in diversi ritratti del Quattrocento (come quelli di Antonello da Messina, o alcuni dello stesso Piero della Francesca), e, in effetti, tutti questi personaggi dipinti su uno sfondo scuro e incorniciati dai bordi bianchi potrebbero sembrare proprio una galleria di ritratti. Lo sfondo nero permette inoltre, in questo caso, di far emergere la figura del personaggio, che essendo invece molto colorata finisce per risaltare.

Sopra: I ritratti del duca e della duchessa di Urbino di Piero della Francesca, a cui Moriconi si è ispirato per creare i personaggi di questo silent book, in quanto all'illustratore pareva che si stessero sussurrando qualcosa.

  
Sopra: A sinistra il cacciatore di Cappuccetto Rosso, uno dei personaggi dell'opera di Brenman e Moriconi, ritratto di profilo; a destra il ritratto di Sigismondo Malatesta di Piero della Francesca. Come si può vedere, le due immagini sembrano presentare alcuni elementi in comune.

Lo sfondo nero, monotonale, che contrasta con la cornice bianca della pagina che racchiude ciascun personaggio, permette inoltre all'artista di non far capire all'osservatore dove si trovano i vari giocatori: potrebbero essere distanti (quanto?) oppure molto vicini gli uni agli altri. A tal proposito alcuni particolari possono venire in aiuto dei più attenti osservatori: se si guarda bene l'armatura del cavaliere si possono notare dei riflessi su di essa, riflessi i cui colori (blu e giallo) corrispondo a quelli degli abiti dei personaggi  che si trovano a sinistra e a destra del cavaliere (il re, dalla veste blu, e il palombaro con la tuta gialla). Ciò suggerisce quindi che in realtà tutti questi giocatori, all'apparenza distanti tra loro, in realtà siano più vicini di quanto pensassimo, cosa che verrà poi confermata a lettore alla fine (ricordate il finale a sorpresa?).


Sopra: Come dimostrano queste immagini i personaggi ritratti uno a uno in questo libro potrebbero essere più vicini di quanto sembrano. Nell'immagine in alto, ad esempio, possiamo vedere sull'armatura del cavaliere dei riflessi blu e gialli, i primi appartengono al mantello del re alla destra dell'armatura, mentre quelli gialli sono quelli della tuta del palombaro alla sinistra del cavaliere, come possiamo vedere voltando pagina (immagine in basso). Notare inoltre come quest'ultimi due presentino entrambi un elemento comune: in guanto rosso.

Un altro elemento molto importante sono proprio le immagini finali nelle quali ci viene mostrato il cane che compariva nella pagina precedente, a cui il padrone cacciatore aveva sussurrato la parola/frase, che, anziché limitarsi ad abbaiare il messaggio che gli era stato comunicato, lecca la guancia del giullare che avevamo visto all'inizio, passando quindi nell'altra pagina. Il finale è qualcosa che trovo semplicemente geniale: prima di tutto perché in questo modo gli autori hanno concluso degnamente quest'opera e il gioco in essa raffigurato, rompendo all'ultima pagina lo schema dall'andamento regolare che aveva caratterizzato tutta l'opera e a cui l'osservatore si era abituato, prendendo quindi quest'ultimo di sorpresa mostrandogli qualcosa di nuovo, che non si aspettava. Il lettore, di fronte a questa piacevole sorpresa, non può che sorridere, chiudendo il libro contento e soddisfatto.
Inoltre questo dà ai lettori la possibilità di indovinare quale fosse la parola o la frase che i vari giocatori si sono sussurrati di pagina in pagina, senza tuttavia dar loro la certezza che quella sia quella corretta: potrebbe essere una parola o una frase affettuosa (forse "Bacio" o un "Ti voglio bene" o "Ci tengo a te"  ….), tuttavia non possiamo sapere se essa è stata storpiata durante il gioco: alcuni personaggi, ad esempio, assumono delle espressioni sorprese e talvolta forse anche spaventate o preoccupate (vedere ad esempio quella di Cappuccetto Rosso e del cacciatore). Che parola/frase era? E' quella corretta? Non lo sapremo mai con certezza.

Sopra: Osservate l'espressione di questa Cappuccetto Rosso moderna, vestita con una felpa, la quale sembra essere alquanto preoccupata e ansiosa mentre sussurra la parola al personaggio alla sua sinistra (il cacciatore), volgendo però lo sguardo indietro, dove si trova il lupo a cui ora sta dando le spalle. Chissà che parola/frase le sarà stata sussurrata ...

Il fatto poi che il cane superi la cornice bianca che separava tutti i personaggi è un altro elemento molto interessante, in quanto ci fa vedere proprio la figura dell'animale che viene spezzata, interrotta. In questo modo il lettore prende maggiormente coscienza di qualcosa a cui inizialmente, e durante il proseguimento dell'opera, non aveva dato molto peso: la cornice appunto. Solitamente, infatti, l'attenzione dell'osservatore si concentra sulla parte interna di una pagina, tendendo un po' a ignorare i bordi, specialmente se sono monotoni e non hanno nulla di speciale (se vediamo una quadro attaccato su una parete bianca guarderemo solo il quadro, non ci soffermeremo anche sulle pareti bianche del muro che lo circondano). Vedere invece la figura del cane "spezzata" da questa cornice bianca ci fa prendere subito consapevolezza, almeno nel mio caso, dell'esistenza anche di quest'ultima (a cui prima tutto sommato avevamo badato poco), anche per il fatto che il bianco della cornice contrasta fortemente con i colori dell'immagine centrale: il nero dello sfondo e le tinte accese che caratterizzano i vari personaggi. A un tratto il bianco delle pagine assume un significato: esso separa, mentre il nero, in un certo senso, unisce i vari personaggi.

Sopra: Ecco l'immagine finale del libro, quella conclusiva, in cui il cane "rompe" la cornice bianca delle pagine, attraversandola, per comunicare (a modo suo) la parola al giullare che aveva dato inizio al gioco. Un'immagine che non può non suscitare nel lettore almeno un sorriso.

Certo, essa non li separa realmente, in quanto questi sono probabilmente anche piuttosto vicini gli uni altri altri (come abbiamo visto in precedenza con l'armatura del soldato), la cornice sembrerebbe più che altro un pretesto grafico per rendere ancora più difficile, e quindi più interessante e stimolante per l'osservatore, la comunicazione e la percezione del messaggio in quanto, come spiega l'Anna Castagnoli, più ostacoli ci sono più la tensione cresce e più divertimento c'è. Tuttavia la sua funzione non è irrilevante, in quanto essa incide comunque sulla lettura dell'immagine, in modo più o meno consapevole: come è stato detto precedentemente la presenza di questi bordi bianchi attorno alle immagini le fa sembrare una galleria di ritratti.
Sempre l'Anna Castagnoli avanza inoltre un'ipotesi interessante riguardo a questa cornice: essa sarebbe il "colletto inamidato dei ruoli sociali", il che la renderebbe un limite reale, in un certo senso. Quest'idea è molto intrigante, in quanto la Castagnoli potrebbe in effetti aver ragione, infatti, se c'è una cosa che caratterizza i vari personaggi che ci sono stati presentati, è che questi sembrano avere un ruolo ben preciso: vi sono il giullare, il re, il cavaliere, il palombaro, il pirata, il pappagallo (del pirata), l'aborigeno, il turista, la signora snob, la nonna di Cappuccetto rosso, il lupo di Capuccetto Rosso, il cacciatore sempre della fiaba di Cappuccetto Rosso, il cane del cacciatore. Tutti questi personaggi incarnano dei ruoli: alcuni dei ruoli sociali ben distinti e definiti (il giullare, il re, il cavaliere) o dei lavori (il palombaro), altri rappresentano dei personaggi cliché (il pirata, il turista, la signora snob che cerca di apparire giovane e alla moda, la nonna/vecchina), ed altri ancora sono la personificazione di precisi e famosi personaggi delle fiabe (il lupo, il cacciatore e la stessa Cappuccetto Rosso). Tutti questo sono personaggi immediatamente identificabili, anche perché proprio questa loro caratterizzazione così immediata, che li rende facilmente riconoscibili da parte del lettore, fa parte del gioco e del rapporto tra l'osservatore e l'opera: poiché di costoro il lettore non sa nulla, e tutto ciò che saprà lo apprende attraverso le sole immagini, l'artista ha dovuto renderli facilmente riconoscibili per permettere all'osservatore di poterli poi collegare tra loro, tuttavia, anche se sono facilmente identificabili dal loro aspetto e da ciò che indossano, ciò non significa che i nessi che li legano siano scontati o semplici da afferrare.
Tra tutti l'unico che non ha un ruolo rigidamente definito è proprio il cane, il che lo rende probabilmente l'unico personaggio in grado quindi di superare quella bianca cornice, quel limite. E' vero, tecnicamente questo cane sarebbe IL cane del cacciatore di Cappuccetto Rosso (così come il pappagallo era il pappagallo del pirata), tuttavia trovo che il suo ruolo sia meno definito rispetto a quello degli altri personaggi in quanto, in Cappuccetto Rosso, il cane del cacciatore non aveva una gran importanza nella storia, a differenza di altre figure come la protagonista, il Lupo (l'antagonista), la nonnina e poi lo stesso cacciatore (che è colui che salva la situazione). La presenza dell'animale non è neppure specificata nella fiaba, è il lettore che può pensare che il Cacciatore fosse accompagnato da una cane, per cui il ruolo di quest'ultimo è molto più flessibile rispetto a quello degli altri personaggi (potrebbe benissimo essere un cane qualsiasi di un qualsiasi padrone, mentre solitamente il padrone di un pappagallo dev'essere un pirata secondo l'immaginario collettivo).

  
Sopra: Due dei singolari personaggi che popolano questo silent book, i quali rappresentano entrambi una precisa categoria di persone. A sinistra abbiamo un classico pirata cliché con barba, maglia a righe, bandana, orecchini d'oro, benda sull'occhio, uncino al posto della mano e tatuaggi marinareschi. La donna a destra può invece essere facilmente identificata e classificata come una signora snob, probabilmente anche ricca, che sembra non voler mostrare i segni dell'età cercando di nasconderla dietro accessori e abiti costosi e vistosi (la collana, gli occhiali da sole, la pelliccia, i guanti), e tingendosi i capelli (che saranno stati sistemati sicuramente da una parrucchiera). Di queste persone non sappiamo nulla, eppure, anche vedendoli per la prima volta, potremmo dire così tanto su loro.

Un'opera molto interessante nella sua apparente semplicità, che si presta a diversi livelli e chiavi di lettura. Un silent book che si basa su un'idea semplice ma geniale e su delle belle illustrazioni con personaggi dall'aspetto realistico, molto curato e ricco di dettagli, personaggi molto caratteristici e estremamente espressivi, tanto da riuscire sempre a comunicare qualcosa al lettore, pur essendo completamente muti.

L'opera è stata pubblicata originariamente in Brasile nel 2010 dalla Cimpanhia das Letrinhas col titolo "Telefone sem fio", ed è giunta in Italia nel 2014 pubblicata dalla Gallucci Editore. Essa misura 36,5 cm d'altezza e 27,5 cm di lunghezza, ha pagine 38 e costa 24 euro.

Tutti i diritti appartengono ai legittimi proprietari, non vi è alcun intento di infrangere il copyright. Le immagini e i testi sono utilizzati a scopo puramente informativo.

lunedì 19 settembre 2016

Pinocchio di Stefano Bessoni

Dopo "Alice sottoterra" e "I canti della forca" (di cui ho già parlato rispettivamente qui e qui) Bessoni reinterpreta un classico della letteratura italiana: "Le avventure di Pinocchio". Nella sua opera l'artista, però, non ha voluto riproporre la storia originale, che molti ormai già conoscono, ma una sua personale visione della vicenda. Alla fine dell'albo, infatti, egli stesso spiega: "In questo libro non ho voluto riproporre fedelmente il testo e la storia di Collodi, che comunque tutti conoscono alla perfezione e di cui esistono innumerevoli edizioni, ma ho preferito soffermarmi sui personaggi principali e fornirli di tutto ciò che immaginavo scritto oltre le righe, approfondendo i loro caratteri, le loro manie e ossessioni, mantenendo la storia semplicemente come esile filo conduttore."

Sopra: La copertina del "Pinocchio" di Stefano Bessoni mostra un primo piano della bambina dai capelli turchini (conosciuta anche come Fata Turchina).

Il racconto comincia, come quello di Collodi, con un pezzo di legno, il quale però si ipotizza subito essere in realtà una grossa radice di mandragola, cresciuta ai piedi di qualche forca. Il pezzo di legno (presunta radice di mandragola) finisce nelle mani di Geppetto, il cui vero nome è in realtà Giuseppe Bartolomeo Zacchia (il nome di questo personaggio riprende quello del Dott. Zacchia, presente nel film diretto da Bessoni "Frammenti di scienze inesatte", il quale dirige una piccola scuola di medicina e scienze naturali in cui si insegnano materie ufficiali e discipline inusuali). Il Geppetto di Bessoni ha studiato medicina e anatomia, diventando becchino preparatore dell'Arcispedale de Santa Maria Nuova in Firenze, dove aveva lavorato per quasi trent'anni apprendendo tutte le tecniche di conservazione di scheletri e preparati anatomici (il vero Geppetto, per Bessoni, è infatti Sgatti, un becchino vissuto a fine Ottocento che lavorò proprio presso l'Arcispedale de Santa Maria Nuova). Questo Geppetto fa il falegname solo per arrotondare lo stipendio, fabbricando protesi e arti artificiali, con una particolare predilezione per i nasi.
Quando quest'uomo riceve in regalo la mandragola, decide di costruirsi un burattino, mettendo in pratica ciò che aveva studiato sugli homunculus, sulla leggenda del Golem e sulle esperienze di Galvani (fisiologo, fisico e anatomista italiano nato nel 1737 e morto nel 1798, oggi ricordato come lo scopritore dell'elettricità biologica). Per creare il suo Pinocchio questo singolare Geppetto prende ispirazione dalle bambole e dai manichini anatomici, in particolare le cere anatomiche del Susini, conservate al Museo della Specola a Firenze. Il Pinocchio che viene creato è un burattino dalla testa tozza e scheletrica e il cui corpo contiene interiora intagliate nel legno e verniciate. Questo burattino però non è meno birbante della sua controparte collodiana, così prima ancora di essere stato assemblato comincia a fare scherzi a Geppetto, fugge di casa, uccide il Grillo parlante, si brucia i piedi ….

  
Sopra: Il Geppetto di Bessoni, per costruire il proprio Pinocchio prende ispirazione dalle cere anatomiche del Susini, dotandolo di organi interni perfettamente riprodotti con legno verniciato.  Nella foto a destra potete vedere Venerina (realizzata tra il 1780 e il 1782), una delle cere anatomiche realizzate da Clemente Susini.

Il Pinocchio di Bessoni incontra, infatti, tutti i personaggi dell'opera originaria, ovviamente reinterpretati dall'artista: il Grillo-parlante, Mangiafoco, il Gatto e la Volpe, la Fata Turchina, i dottori, i conigli becchini, il pescatore verde, Lucignolo e il pesce-cane (o più precisamente, in questa versione, una rana pescatrice gigante).
Interessante in particolare la figura della Fata Turchina, che in realtà è una bambina morta dai capelli turchini, la quale anche nella versione originale di Collodi era una bambina dai capelli turchini che, quando Pinocchio le chiede d'aiutarlo, gli risponde "In questa casa non c'è nessuno. Sono tutti morti. (…) Sono morta anch'io (…) Aspetto la bara che venga a portarmi via". Non sorprende quindi che Bessoni associ la Fata anche alla figura delle streghe, tuttavia "Lei ci teneva molto ad essere ad essere chiamata fata e cercava in tutti i modi di comportarsi come tale, prendendo a modello la fata verde dell'assenzio e la fata bianca dei dentini."

Sopra: Bessoni rappresenta la fata dai capelli turchini con un aspetto emaciato, con profonde occhiaie, il corpo quasi scheletrico e un mare di capelli turchini. D'altronde anche nel libro di Collodi questo personaggio avrebbe dovuto essere una sorta di fantasma.

Ogni immagine da lui realizzata, come di consueto con i libri di questo artista, è collocata nella facciata accanto a quella con il testo. Nelle sue illustrazioni vengono rappresentati soprattutto i personaggi del libro, dopotutto, come lo stesso Bessoni aveva spiegato alla fine di questo volume, egli ha preferito soffermarsi sui soggetti principali, lasciando la storia in secondo piano. Per cui il lettore vedrà susseguirsi una serie di personaggi grotteschi, bizzarri, sgangherati, macabri, paurosi anche, molto spesso scheletrici, che emergono da uno sfondo indefinito, astratto, che lascia che l'attenzione del lettore si focalizzi tutta sui protagonisti dell'illustrazione. Lo stile dell'autore è, come sempre, particolare e immediatamente riconoscibile: macabro, affascinante e visionario.

  
Sopra: Due personaggi del libro che Bessoni reinterpreta attraverso le sue illustrazione: a sinistra il Grillo parlante, dall'aspetto sgangherato, con due occhi sproporzionati, il volto scheletrico e due file di denti; e a destra Mangiafoco, un omone basso e largo, dai piccoli occhi malvagi, con un'enorme barba incolta e due gambette sottili. Inoltre, come potete vedere anche da altre illustrazioni, entrambi i personaggi sono stati posti in uno sfondo indefinito, di cui cambiano solo le sfumature dei colori.

L'opera di Bessoni è sì la storia di Pinocchio, ma reinterpretata secondo le conoscenze dell'artista e contaminata con influenze lombrosiane e shelleyane. Come spiega lo stesso Bessoni: "Il mio Pinocchio è una sorta di creatura strampalata che porta su di sé le stigmate anatomiche  del "delinquente nato" di  Cesare Lombroso e la perturbante diversità di Frankenstein di Mary Shelley". In effetti in questo libro l'artista ha inserito moltissimi riferimenti e conoscenze personali: viene citato il Frankenstein di Mary Shelley (di cui il Geppetto di Bessoni è un instancabile lettore); la leggenda del Golem (questo Geppetto ha infatti inciso sulla nuca del suo burattino la parola ebraica "Emetn", che vuol dire "vita"); Sgatti, un becchino vissuto realmente nell'Ottocento (a cui è ispirata la figura di questo Geppetto); le scoperte sull'elettricità biologica di Luigi Galvani; le cere anatomiche del Susini e la teoria di Cesare Lombroso (medico, antropologo e giurista italiano considerato uno dei padri della criminologia).

  
Sopra: A sinistra, il Geppetto rappresentato da Stefano Bessoni si basa su un becchino preparatore vissuto nell'Ottocento chiamato Sgatti, ritratto nella foto a destra,  che lavorò nell'Arcispedale di Santa Maria Nuova a Firenze.

  
Sopra: In questa versione di Pinocchio vengono citate anche le teorie di Cesare Lombroso (1835-1909), fondatore dell'antropologia criminale, secondo cui l'origine del comportamento criminale era insita nelle caratteristiche anatomiche del delinquente. A sinistra possiamo vedere un'illustrazione di Bessoni che mostra Lombroso mentre analizza il cranio di Pinocchio, mentre a destra vi è una foto proprio di Lombroso.

Alcuni riferimento provengono anche da altre opere dello stesso Bessoni: vengono infatti citate le ricette per la fabbricazione degli homunculus di Paracelso e, quelle più recenti, di Lazarus Zendak, entrambe presenti nell'opera di Bessoni "Homunculus" (di cui ho parlato qui); quando Pinocchio va a vedere il teatro delle marionette di Mangiafoco, tra queste, oltre ad Arlecchino e Pulcinella, vi è anche un certo Mr Punch "Che era appena arrivato dall'Inghilterra per far parte dello spettacolo e non capiva nulla di quello che stava accadendo", personaggio che troveremo poi nel libro di Bessoni "Mr Punch" pubblicato nel 2015.
D'altra parte la stessa figura di Pinocchio, e della mandragola, era presente nella prima opera di Bessoni "Homunculus" del 2011, in cui il protagonista Lazarus Zendak decide di fabbricarsi un omuncolo in seguito alla morte della figlia, prendendo in considerazione varie ricette:
"Ma la ricetta per dare la vita 
dentro una pianta era custodita (…)
Mandragola era chiamata dalla gente
e molti non la credevano vivente. 
Ideale per sortilegi e unguenti,
per l'umuncolo è tra gli ingredienti.
Assai bene lo sapeva il Collodi,
che la usò insieme a carne, legno e chiodi
per inventare una sua creatura
e trasformarla in letteratura".

  
Sopra: A sinistra il Pinocchio rappresentato da Bessoni in quest'opera, mentre a destra una raffigurazione del burattino/omuncolo, sempre di Bessoni, presente nella prima opera di questo artista: "Homunculus", del 2011.

Questa si presenta quindi come un'opera complessa, come d'altronde è il classico a cui si ispira, che offre molti spunti interessanti da approfondire. Sicuramente Bessoni ha creato una versione alternativa molto interessante del Pinocchio collodiano, una versione che mette in risalto alcuni aspetti della storia (quelli più macabri ed esoterici) che lo scrittore, nonché artista, ha notato. Dopotutto il libro di Collodi è un'opera complessa, con personaggi e vicende particolari e memorabili, che offre diversi livelli di lettura, e che quindi si presta bene a essere rivisitata e riscritta (ci sono già diversi libri, e i film, che si basano sulla storia del burattino interpretandola differentemente, finendo per creare una storia magari simile, ma al contempo molto diversa), come succede anche con molte fiabe, ed è anche questa caratteristica a renderla un classico senza tempo, a discrezione poi anche dei gusti personali.

Questo libro dalla copertina rigida è stato pubblicato nel 2013 dalla Logos, ha 68 pagine e misura 26,8 cm d'altezza e 21,6 cm di lunghezza; costa 20 euro.

Tutti i diritti appartengono ai legittimi proprietari, non vi è alcun intento di infrangere il copyright. Le immagini e i testi sono utilizzati a scopo puramente informativo.

lunedì 12 settembre 2016

Il sussurro degli dei di Roxane Marie Galliez e Cathy Delanssay

Questo è il secondo libro di cui parlo illustrato dalla Cathy Delanssay e pubblicato in Italia dalla Macro Junior (il primo era "Incontra le fate", di cui potete leggere qui), ma questa volta l'autrice cambia: al posto della Lenia Major c'è Roxane Marie Galliez.

Sopra: La copertina de "Il sussurro degli dei" mostra Pah (la dea Pawnee della luna), Nut (la dea egizia del cielo) e l'uovo che contiene Pan'Ku (il creatore del mondo secondo una leggenda cinese). Dalle illustrazioni e dai colori dell'immagine di copertina di può intuire l'atmosfera poetica e mitica del libro.

In quest'opera non si ha più a che fare con fate, ma con dei, dee, eroi e muse, provenienti da miti e leggende di tutto il mondo.
Il libro si apre, come di consuetudine quando si tratta di temi come questi, con una preghiera alle Muse, nella quale vengono nel contempo presentate tutte e nove: Calliope, Clio, Polimnia, Euterpe, Tersicore, Erato, Melopomene, Talia e Urania.
Dopodiché si entra nel corpo centrale dell'opera, diviso in quattro parti: la prima tratta della creazione del mondo, la seconda della guerra, la terza dell'amore e l'ultima parla degli eroi.
Nella prima parte vengono riportati miti legati alla creazione del mondo: come quello aborigeno del serpente Waagal (conosciuto anche come Wagyl) e quello cinese di Pan'Ku; oppure miti legati al giorno e alla notte, come quello di Nut (la volta celeste dell'Egitto), di Pah (la dea Pawnee della luna), o quello di Amaterasu (la dea giapponese del sole).
Nella seconda parte, quella che tratta della guerra, troviamo il dio nordico Thor, il dio romano Marte, la protettrice dei samurai Marishi-Ten o l'azteco Huitzilopochtli. La terza, sull'amore, parla delle divinità indiane Parrati e Shiva, della dea egizia Iside, della dea romana delle bellezza Venere, mentre la quarta (degli eroi) di Elena di Troia, re Artù, il greco Eracle, l'eroe della Mesopotamia Gigamesh ecc….
Racconti, insomma, provenienti un po' da tutto il mondo: dalla Cina e dal Giappone, dall'Impero Romano, dalla Grecia, dall'Africa, dall'Egitto, dall'India, dalla Polinesia, dall'Irlanda, dalla Mesopotamia e dagli Aztechi.
Questi miti naturalmente non sono stati riportati integralmente nella loro lunghezza originaria, ma la Galliez non si è neppure solamente limitata a farne un mero riassunto: per ognuno di essi la scrittrice ha adottato uno stile poetico, a vari livelli.
Leggete ad esempio questi stralci di testo:

"Questa storia viene dall'Irlanda, ha il profumo dei trifogli, parla del mistero degli elfi, 
di ciò che non si vede. Conoscete le fate, conoscete le magie,
ma avete anche sentito parlare delle BANSIDH?
Pochi uomini possono vantarsi di averle incontrate."
(dal racconto di Bansidh, l'amore appassionato dell'Irlanda)

"Brilla.
Brilla al di sopra del suo sposo.
Geb, il dio della Terra.
Brilla con mille e mille stelle:
lei è il cielo dell'Egitto che si svela."
(dal racconto di Nut, la volta celeste dell'Egitto)


Sopra: Un'illustrazione della Delanssay che rappresenta Nut, la dea del cielo (nonché volta celeste dell'Egitto), e Geb, il dio egizio della terra.

Seppur riscritti e rivisitati, questi miti conservano comunque la loro sostanza e la storia che in essi viene tramandata, talvolta con qualche lieve cambiamento. Ad esempio in un antico racconto su Amateratsu, la dea giapponese del sole, questa si nasconde in una grotta per l'imbarazzo causatole dal fratello, dio della tempesta, Susanoo, il quale aveva distrutto gli argini delle risaie della sorella, ostruendone i fossati. Nella storia riportata dalla Galliez, Amateratsu si nasconde invece nella grotta in quanto offesa dal fatto che Susanoo abbia soffiato sul suo giardino in fiore, e che non abbia voluto scusarsi con lei per questo, ma che, anzi, ne rideva.
Il volume si conclude, infine, con la preghiera a Ganesha, dio della religione induista dalla testa di elefante e con quattro braccia, simbolo di colui che ha scoperto la divinità in se stesso.

Le illustrazioni realizzate dalla Delanssay, che ci mostrano delicate e soavi fanciulle, belle e potenti dee, nobili eroi e dei furiosi, sono poetiche (proprio come i testi di questo libro), molto graziose, delicate e colorate. E' interessante vedere come l'artista ha interpretato alcuni personaggi, più o meno celebri, appartenenti a miti e leggende di tutto il mondo, ispirandosi talvolta a un'iconografia più classica e altre lasciandosi guidare maggiormente dal proprio immaginario.



Sopra: Qui sopra ho messo a confronto l'illustrazione della Delanssay (quella più in basso) rappresentante Ganesha, con un'immagine che lo raffigura normalmente. Come si può vedere, in questo caso, l'aspetto del dio indiano rappresentato l'illustratrice è stato mantenuto molto simile a quello originale.

  

Sopra: Per rappresentare Marishi-Ten, invece, l'artista si è presa una certa libertà, come l'osservatore può immediatamente notare confrontando l'illustrazione più in basso, realizzata appunto dalla Delanssay, con alcune raffigurazioni classiche di questa dea (una che la vede adirata e un'altra pacifica) che ho riportato sopra.  Marishi-Ten (o Marici) è infatti solitamente rappresentata come una donna (ma a volte anche come un uomo) con tre (o più) teste, sei (o più) braccia e tre occhi (per ciascuna testa).

Quest'opera è interessante per il fatto che comprende miti e leggende provenienti da tutto il mondo (compresi Cina, Giappone, India, Africa) e non solamente quelli degli dei greci o romani, perché, dopotutto, l'uomo, da qualsiasi parte del globo provenga, ha da sempre sentito il bisogno di rispondere a delle domande attraverso dei miti, o semplicemente di creare storie. In fondo, ogni popolo ha un proprio racconto per spiegare la creazione dell'universo, i fenomeni naturali; ognuno credeva (o crede) in dei che lo aiutassero a capire ciò che l'uomo non poteva spiegarsi (le forze della natura, le emozioni, i sentimenti) e controllare.
E' bella l'idea di raccogliere alcuni di questi miti, gradevolmente accompagnati dalle incantevoli illustrazioni della Delanssay, provenienti da luoghi e culture differenti, per farli conoscere ai bambini, ma anche agli adulti, anche se con una forma e un linguaggio diversi, ovviamente, rispetto ai testi originali: un libro che può far scoprire un po' della bellezza e della ricchezza del mondo, e dell'umanità.

Questo libro è stato pubblicato originariamente in francese nel 2007 col titolo "Le murmure des dieux" dalla Balivernes Editions, ed è arrivato in Italia nel 2011 edito dalla Macro Junior. L'opera ha 70 pagine, la copertina rigida imbottita, misura 27,5 cm d'altezza e 24,6 cm di lunghezza e l'edizione italiana costa 10,80 euro, mentre quella francese ne costa 15.

Tutti i diritti appartengono ai legittimi proprietari, non vi è alcun intento di infrangere il copyright. Le immagini e i testi sono utilizzati a scopo puramente informativo.

lunedì 5 settembre 2016

La Bella e la Bestia di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont e David Sala

Dopo la recensione de "La Bella e la Bestia" illustrata da Gabriel Pacheco (qui), questa volta vi parlerò sempre della stessa fiaba illustrata però dall'artista David Sala.

Sopra: La copertina rigida dell'opera mostra un'immagine dai colori freddi di Bella e la Bestia, sulla quale risaltano immediatamente le grandi e contorte corna dorate in rilievo di quest'ultima; anche le scritte bianche del titolo sono in rilievo.

Anche stavolta i testi sono sempre quelli della Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, scrittrice francese del Settecento, autrice di molti famosi racconti per l'infanzia, tra cui appunto quello de "La Bella e la Bestia".
Questa volta, però, la traduzione di Carlo Collodi è invece fedelissima all'originale, se non per qualche termine o espressione che il traduttore ha espresso in maniera diversa, seguendo il proprio stile e il proprio vocabolario, senza però cambiarne il significato. Ad esempio:
Testo originale della Beaumont: "Cette cadette (la più giovane), qui était plus belle que ses sœurs, était aussi meilleure qu'elles. Les deux aînées (più anziane) avaient beaucoup (un sacco, molto) d'orgueil, parce qu'elles étaient riches; elles faisaient les dames, et ne voulaient pas recevoir les visites des autres filles de marchands; il leur fallait (avevano bisogno, necessità) des gens de qualité pour leur compagnie. Elles allaient tous les jours au bal, à la comédie, à la promenade (a passeggiare), et se moquaient (scherniavano, deridevano, beffavano) de leur cadette, qui employait (impiegava) la plus grande partie (parte) de son temps à lire (leggere) de bons livres."

Traduzione di Collodi: "Questa figlia minore, oltr'essere la più bella, era anche la più buona delle altre. Le due maggiori, perché erano ricche, avevano molto fumo; si davano l'aria di gran signore, e non gradivano la compagnia delle figlie degli altri negozianti, ma se la dicevano soltanto col nobilume. Andavano dappertutto: ai balli, alle commedie, alle passeggiate; e si ridevano della sorella minore, perché spendeva una gran parte del suo tempo nella lettura dei buoni libri."
Come potete leggere, Collodi ha mantenuto invariato il significato e il senso del testo pur cambiando alcuni termini, come ad esempio il "Avaient beaucoup d'orgueil" ("avevano un sacco d'orgoglio/erano molto orgogliose") della Beaumont è stato reso con "avevano molto fumo".
I testi sono comunque stati tradotti e riportati interamente.

Le illustrazioni realizzate dal francese David Sala sono belle e molto particolari, dato che si ispirano ai dipinti di Gustav Klimt. Le figure e paesaggi appaiono spesso molto bidimensionali, ma ciò che colpisce subito dello stile dell'artista è sicuramente l'uso del colore, in particolare l'oro. Vi sono infatti alcuni elementi delle immagini, tra cui le corna della bestia, che sono dorati, un probabile riferimento al cosiddetto "periodo aureo" di Klimt, durante il quale l'oro regnava incontrastato nelle tele di quest'ultimo (tra cui ricordo "Giuditta" e "Il bacio").

Sopra: L'immagine che rappresenta la scena in cui Bella, tornata al castello, trova la Bestia morente è stata ritratta dall'artista utilizzando colori freddi come il verde, l'azzurro e il viola su cui spiccano subito le corna dorate della Bestia, tinta che è probabilmente un riferimento al periodo aureo di Klimt. L'illustrazione è inoltre molto scura, se non fosse per l'abito di Bella e il pelo della Bestia, cosa che mette ancora più in risalto la lucentezza delle corna.

Anche il modo in cui Sala ha disegnato le donne della fiaba di questo libro ricorda lo stile di Klimt: per il viso, la corporatura, e per le ampie chiome sciolte voluminose e morbide, nelle quali sono state tracciate linee e curve che rappresentano i vari capelli dalle quale sono composte. Le stesse tre figlie del mercante (Bella e le sue sorelle maggiori) ricordano dei personaggi femminili dei quadri di Klimt come: le donne sulla destra del "Fregio di Beethoven", "Danae", oppure "Bisce d'acqua II".

  

Sopra: Le tre figlie del mercante ritratte da David Sala, nell'immagine più in alto, assomigliano per certi aspetti alle donne ritratte da Klimt nel "Fregio di Beethoven", di cui vedete un particolare nell'immagine qui sopra in basso. Sembrerebbe infatti che Sala ne abbia ripreso il colore e la forma dei capelli, nonché in parte le acconciature (ad eccezione di Bella, la quale nell'opera di Sala ha i capelli raccolti anziché sciolti). Notare inoltre le rose alle spalle delle tre sorelle, elemento molto importante nella storia e che Sala ha ripreso molto spesso nelle illustrazioni di questo libro.

  

Sopra: Bella, nell'immagine in alto a sinistra, di David Sala ricorda un po' per la corporatura, l'aspetto, i capelli e le pose, alcuni soggetti femminili ritratti da Klimt, tra cui in alto a destra "Danae" e in basso al centro "Bisce d'acqua II". Notare nell'illustrazione di Sala gli elementi dorati delle corda della Bestia e della parete della stanza, la presenza di fiori (sul muro, sul mantello della Bestia, sul tappeto sul cui è distesa la ragazza e sul vestito di quest'ultima) e delle forme geometriche sul pavimento della stanza.

Molto interessante, in alcune illustrazioni, la presenza di arabeschi o figure geometriche quali quadrati e rombi, che sono stati utilizzati per rappresentare i pavimenti delle sale del castello, delimitandoli e facendoceli così distinguere rispetto alle pareti verticali. A padroneggiare però nelle illustrazioni di David Sala sono gli elementi naturali, in particolare i fiori, i quali sono presenti sia negli ambienti esterni ,come boschi o giardini, sia interni, raffigurati sui muri del castello, e anche sugli abiti dei personaggi (ad esempio la Bestia viene mostrata indossare sempre un grande mantello con sopra dipinte delle rose).
Le immagini di Sala sono estremamente colorate, in particolare gli ambienti, in cui a volte predominano colori freddi come l'azzurro o il verde, oppure caldi come il rosso o il giallo. Di qualsiasi tinta si tratti non vi è comunque un solo spazio nella pagina che rimanga bianco: viene sfruttato tutto.



Sopra: Alcune illustrazioni a doppia pagina presenti nel libro; in quelle più in alto predominano i colori freddi dell'azzurro e del verde, mentre nell'ultimo sono presenti colori quali il blu, il viola e il rosso porpora. Come potete vedere lo stile dell'illustratore è alquanto particolare (notare la bidimensionalità delle illustrazioni, la colorazione dell'ambiente e il modo in cui è stato dipinto il cielo), tuttavia i suoi disegni sono davvero incantevoli.

Questo libro riporta integralmente e fedelmente la fiaba della Beaumont con un'ottima traduzione da parte di Collodi, a cui si accompagnano le belle, incantevoli, particolari e coloratissime illustrazioni di David Sala, curate e ricche di dettagli, le quali si ispirano allo stile del famoso pittore austriaco Klimt.

Il libro è stato pubblicato nel 2014 in francese col titolo "La Belle et la Bete" dalla Casterman; è stato edito in italiano nel medesimo anno dalla Gallucci editore. L'opera ha la copertina rigida, ha 54 pagine, misura 27,3 cm d'altezza e 25,2 cm di lunghezza e costa 18,50 euro.

Tutti i diritti appartengono ai legittimi proprietari, non vi è alcun intento di infrangere il copyright. Le immagini e i testi sono utilizzati a scopo puramente informativo.